Alcune
considerazioni dopo l'incontro dedicato alla Trilogia della città di K. Prendo in considerazione, prima di
tutto, il primo capitolo della trilogia, Il grande quaderno. La
cosa che colpisce subito, e probabilmente la cifra identificativa dell'autrice,
è la scrittura secca e gelida, capace di descrivere gli avvenimenti -e i
sentimenti- più crudi e agghiaccianti mantenendo la distanza dell'ironia.
Vediamo le situazioni più estreme di dolore, perversione e morte attraverso gli
occhi lucidissimi e spietati dei due gemelli durante la loro educazione sentimentale. C'è molta
ironia, ma anche tanta crudeltà, e sorridere non è facile. Ci si riesce solo in
poche occasioni: sublime, per esempio, la morte del padre... Anche la
nonna-baba jaga è un personaggio divertente, presa direttamente dalla fiaba
russa classica, dal cui immaginario e dalla cui struttura Il
grande quaderno attinge
a piene mani. C'è poi il gioco della verità e dell'invenzione, che è molto
stimolante, ma: attenzione! Il lettore non saprà mai qual è la verità, quindi,
meglio non cercarla a tutti i costi: sarebbe frustrante. La seconda e la terza
parte della trilogia sono interessanti (la terza meno della seconda) ma
decisamente inferiori alla prima dal punto di vista dello stile e della
struttura. Secondo me, c'è un po' troppa psicologia esplicita, e il gioco della
verità diventa un po' stucchevole. Comunque, se ancora non l'avete fatto, il
consiglio è certamente di leggere questo libro, magari intervallando i tre
romanzi con altre letture, e lasciando passare un po' di tempo tra l'uno e
l'altro. E' un libro importante, ma se siete in un momento di depressione,
forse è meglio aspettare un po'...
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
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