Cannibali



Un gruppo di persone riunite da una comune svolta del destino: la partenza clandestina per l’Europa. Lo stretto di Gibilterra, le luci della Spagna così vicine viste da Tangeri.
Attraverso la voce narrante del giovane Azouz, lo scrittore marocchino Mahi Binebine racconta la lunga attesa prima della temuta traversata e le storie dei suoi protagonisti, storie confluite sulla  medesima riva. Insieme ad Azouz sono suo cugino Réda, una madre ed il suo bambino, l’algerino Kacem Djoudi, Youssef, e due maliani.  Dai racconti delle vite degli uni e degli altri si delineano ritratti e figure emozionanti, che, come racconta Binebine, sono tutti veri, perché la gente che lo incontra gli confida la sua  storia. Non è difficile da credere, i suoi modi da brillante gentiluomo e intelligente uomo di mondo, farebbero sentire al sicuro qualsiasi storia. Mahi Binebine ha il dono della parola e dell’ascolto, fa venire voglia di raccontargli la propria vita perché ne faccia un romanzo, e leggersi come non ci si era ancora capiti. E “Cannibali”, uno dei suoi romanzi più fortunati, ha proprio questa capacità di avvicinare vicende umane che solo apparentemente sembrano distanti, di fare entrare il lettore in mondi  più simili ai suoi di quanto avesse mai potuto supporre. Il romanzo contiene due ambientazioni. Una è quella reale: tutto avviene a Tangeri in Marocco, nel trascorrere delle ore della notte. A questa prima e fondamentale ambientazione, solida come le rocce dietro le quali si nascondono i protagonisti, si sovrappone quella dei loro ricordi che va ad animare l’intera narrazione.
Il racconto è così scandito sui ritorni, l’illusione della partenza, l’attesa dopo l’attesa si riempie della memoria, trasformando degli essere umani anonimi in persone, conferendo identità e spessore a delle vite altrimenti semplicemente dannate: Azouz che aveva avuto la fortuna di studiare ma che ha poi perduto ogni motivazione alla morte della propria benefattrice; Réda che insieme a suo fratello era stato reclutato come mendicante sulla piazza Djemaa El Fna, a Marrakech; Pafadnam e Yarcé, i “due maliani dei quali non si vedeva che il bianco degli occhi”, sfuggiti alla sfortuna e che speravano di trovare a Parigi la terra promessa; Youssef che aveva vissuto a lungo in Francia e si vantava del titolo di “espulso europeo”; Kacem Djoudi, “un algerino di Blida che era stato istitutore all’epoca in cui nel suo paese regnava la pace”; la giovane Nouara ed il suo neonato, pronta a rischiare tutto per ritrovare il padre del proprio bambino.
Un viaggio tanto pericoloso richiede una buona dose di disperazione. L’indigenza e la miseria più nera alimentano la forza ostinata di questa avventura, per realizzare un sogno duramente proibito, per estorcere forse al destino una nuova vita, una seconda possibilità. Migliore. La speranza anima la volontà dei protagonisti, che si trovano così a condividere ore e ore di attesa e a riempirle di racconti. Ormai il tempo della lettura non ha più cesure, anche noi stiamo aspettando ed ascoltiamo, catapultati in altre regioni ed in tempi di un passato fin troppo recente. Ne emergono delle vite reali, non dei fantasmi di umanità da bollettino televisivo, quando si mostrano gli sbarchi e a numeri si contano i morti ed i dispersi. Senza domandarsi chi siano e dove stiano i veri cannibali. Noi stessi potremmo trovarci su quella riva, perché quelle vite contengono i racconti di vicissitudini, sofferenze, amori, sogni, disillusioni ed illusioni che animano tutte le vite. E, come purtroppo spesso accade, ingiustizia, dove la Giustizia tenta apparentemente di concentrarsi sulle vittime dimenticando i veri responsabili, coloro che approfittano del fatto che le cose restino come sono. Evitando con cura di nominare i cannibali, che mai si sappia che a qualcuno fa comodo! Ma questo è un discorso che va oltre il nostro romanzo, nel quale invece mai c’è pretesa di giudizio o analisi. Uno dei grandi pregi di “Cannibali” è proprio quello di riuscire a delineare dei personaggi a tuttotondo, degli esseri umani che un destino più crudele di altri ha costretto a non avere più altra speranza se non la fuga. E Binebine costruisce un’impalcatura narrativa tanto sobria quanto forte da permettere appunto al romanzo tutto il respiro, vitale, di cui ha bisogno.
La lingua in cui Binebine ha scelto di scrivere è il francese, un francese contemporaneamente sobrio e poetico, essenziale e ricco di immagini e figure, una lingua che facilmente si piega ai giochi di parole. Binebine modella così perfettamente la lingua e le scelte narrative da riuscire a mescolare speranza e disperazione, senza mai rifugiarsi in un facile patetismo. Questo lo fa
attraverso uno stile apparentemente semplice, ma altamente poetico, in cui la scrittura è al tempo stesso cadenzata e lirica e un’ironia, spesso amara, anima la durezza dei personaggi. Questo risultato deriva sicuramente anche da un uso del francese al quale soggiace l’arabo, il dialetto marocchino in particolare. La presenza di questa lingua non è solamente lessicale, ma radicata nela struttura stilistica stessa. Traducendo verso l’italiano non ci si poteva permettere di perdere proprio questo spessore, questo mescolarsi profondo in un risultato tanto armonico. Non era tanto un problema di vocaboli, anche se in alcuni casi si è posto, quanto un problema di sostanza, di scorrere di un uguale di senso attraverso un’altra forma. Il rischio era sostituire la semplicità e la poeticità da essa derivata con la piattezza. Il tutto però volendo essere fedeli alla sua scrittura, che raramente consentiva spostamenti troppo liberi. La scrittura era talmente scorrevole e chiara che spesso costringeva a seguirla, le variazione dovevano essere allora minime, di piccole pieghe di italiano, ma mai incursioni profonde che ne alterassero l’anima. La struttura narrativa, così coerente e ben scandita e che si fonda sullo sviluppo del tema dell’attesa, ne fa uno dei migliori romanzi mai scritti sulla disperazione delle partenze clandestine dall’Africa verso l’Europa. Una partenza contro il proprio passato, tale da obbligare addirittura a bruciare tutti i propri documenti, per rischiare l’ombra e sperare in una nuova identità. L’attesa si mescola al racconto, nel quale il lettore precipita. I cannibali ne marcano le tappe ed attendono tra le onde o a riva di divorare in mille modi diversi l’esistenza di altri esseri umani.

Paola Checcoli

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Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo